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Davide Orler gli anni di Palazzo Carminati e i maestri Carena, Guidi, Saetti | |
1 aprile 2012 - Mostra presso Museo Nazionale Villa Pisani (Stra-Ve) che intende soffermarsi su uno dei momenti più interessanti e meno approfonditi dell’artista trentino Davide Orler: il periodo compreso tra il 1958 e i successivi anni sessanta. |
Davide Orler gli anni di Palazzo Carminati e i maestri Carena, Guidi, Saetti Dal 1° al 29 aprile 2012 presso il Museo Nazionale Villa Pisani (Stra-Ve). Ben conoscendo quanti e quali eventi abbiano arricchito e resa straordinaria ed avventurosa la vita di Davide Orler, nato nel 1931 a Mezzano di Primiero, e scomparso poco più di un anno fa, il 7 dicembre del 2010, questa mostra intende proporre di soffermarsi su uno dei momenti più interessanti e meno approfonditi dell’artista trentino. Si tratta del periodo compreso tra il 1958 e i successivi anni sessanta, quando Orler, stabilitosi definitivamente a Venezia, poté giovarsi di uno studio messogli a disposizione a Palazzo Carminati dalla Fondazione Bevilacqua La Masa. In quel contesto egli entrò in contatto con un gruppo eterogeneo di artisti nati a cavallo tra gli anni venti e trenta, intenti, da una parte, a riformulare le tematiche di una figurazione che sanciva definitivamente la distanza dal post-impressionismo lagunare, dall’altra, a penetrare nei più impervi campi dell’astrattismo. Ad accogliere questa generazione di artisti, che spesso giungevano a Venezia da luoghi geograficamente periferici e da ambiti culturali disomogenei, a formarli e renderli partecipi del rinnovamento in atto, spronandoli a partecipare a mostre e a concorsi, contribuì il magistero di Virgilio Guidi e Bruno Saetti. Quest’ultimo con particolare dedizione all’ambito formativo accademico, Guidi con una vicinanza più sociale e di rilievo intellettuale. Ad essi, che in sostanza definirono, circostanziandola, la mappa artistica veneziana in due differenti “scuole”, si aggiunse una terza figura carismatica, quella di Felice Carena, che sebbene appartata, costituiva per alcuni un riferimento imprescindibile nella Venezia del dopoguerra. La mostra, intitolata “Davide Orler, gli anni di Palazzo Carminati e i maestri Carena, Guidi e Saetti”, è articolata in tre sezioni: nella prima viene dato ampio spazio al percorso pittorico “veneziano” dell’artista trentino; nella seconda vengono proposte alcune opere di artisti che usufruirono tra la seconda metà degli anni cinquanta e la prima metà degli anni sessanta degli studi di Palazzo Carminati della Fondazione Bevilacqua. Sono quindi presenti a catalogo le opere di Rampin, Finzi, Borsato, Barbaro, Magnolato, Schweizer, Lucatello, Paolucci, Boldrini, Domestici, Romagna, Boscolo Natta, Pagnacco e Zotti. Nella terza sezione, infine, viene dato spazio alle opere dei maestri Carena, Guidi e Saetti, alcune di esse di notevole importanza, i quali costituirono inevitabilmente un esempio per coloro che a Venezia, in quei due decenni, cominciavano ad affermarsi nel mondo dell’arte. Gli anni di Palazzo Carminati: Tra gli eventi della straordinaria e avventurosa vita di Davide Orler, il “periodo veneziano”, tra il 1958 e il 1962, è uno dei momenti artisticamente più interessanti dell’artista trentino; quello in cui poté disporre di uno studio per dipingere a Palazzo Carminati, concessogli dalla Fondazione Bevilacqua La Masa. In quel contesto entrò in contatto con un gruppo eterogeneo di artisti intenti, da una parte, a riformulare le tematiche di una figurazione che sanciva definitivamente la distanza dal postimpressionismo lagunare e, dall’altra, a penetrare nei più impervi campi dell’astrattismo. Guidi e Saetti contribuirono ad accogliere questa generazione di artisti, a formarli e renderli partecipi del rinnovamento in atto, spronandoli a partecipare a mostre e a concorsi. Guidi con una vicinanza più sociale e di rilievo intellettuale, Saetti con particolare dedizione all’ambito formativo accademico. Ad essi si aggiunse una terza figura carismatica, quella di Felice Carena, che costituiva per alcuni un riferimento imprescindibile nella Venezia del dopoguerra. Sarà proprio nell’ambito dell’Associazione degli artisti cattolici, presieduto da Carena e su suo esplicito invito, che Davide Orler esporrà nel 1957 per la sua prima volta alla Galleria San Vidal. A seguito di quella mostra, e soprattutto dopo l’esposizione di una serie di opere in ceramica nella Galleria della Bevilacqua La Masa, ben presto ripudiate e gettate in mare come atto di totale rifiuto, Orler conseguì “l’ambitissimo premio” di una borsa di studio per l’assegnazione di uno degli studi di Palazzo Carminati Con il definitivo trasferimento a Palazzo Carminati, Orler mutò sensibilmente il proprio linguaggio nella direzione di una minore conflittualità visiva, parzialmente superata dal dipinto Lo studio, intrapresa invece con assoluta padronanza formale a partire dal ritratto Mio Padre e da quello dello scultore trentino Silvio Alchini. Entrambi solennemente raffigurati all’interno di un impianto compositivo di assoluta chiarezza. Il suo linguaggio figurativo andrà perciò sempre più delineandosi nei termini di uno spontaneismo primitivista, consapevolmente vicino alle sue radici culturali (non mancherà infatti di elaborare nostalgicamente i paesaggi e le case dell’antico nucleo abitato di Mezzano) e a forme di devozione popolare per luoghi geograficamente distanti ma non per questo meno affascinanti. Si assisterà quindi all’esplicarsi di una intensità di visione, a un senso panico della natura, all’emergere di una sorta di religiosa anima degli oggetti e del mondo. Ne è testimonianza continua l’elaborazione di scarni oggetti riferibili ad una quotidianità povera e intimista, che rimanda a un mondo schietto, dignitoso, ma pur sempre rappresentato senza alcuna indulgenza. Quadri come il Ritratto di Papà del 1961 o Interno con tavolo, Bibbia, pani e formaggio del 1965, riconducono ad una semplicità di intenti, ad una visione pauperistica della vita che non si sarebbe potuta manifestare in mancanza di una sincera fede. Il 1958 è, quindi, l’anno dell’ingresso di Davide Orler nello studio di Palazzo Carminati, ma è anche l’anno di una svolta impressa al suo dipingere, sino a quel momento troppo condizionata nel guardare a Picasso. In quel medesimo periodo avvengono due fondamentali incontri: quello con Giovanni Bazoli, il banchiere che contribuirà a divulgare negli anni sessanta il lavoro di Orler attraverso alcune mostre bresciane, rapporto che si tramuterà in una lunga amicizia, e quello con il curatore del Musée Grimaldi di Antibes, lo storico dell’arte Dor de la Souchère. La famosa mostra che assieme a Schweizer realizzò ad Antibes sul finire dell’estate del 1958, divenne l’occasione per far conoscere il proprio lavoro in ambito internazionale e per incontrare alcuni fra i maggiori protagonisti della vita artistica e culturale del periodo, dallo stesso Picasso a Germaine Richier, da Jean Cocteau a Jacques Prévert. Quell’esperienza servì a farsi conoscere in un contesto diverso da Venezia, potendo allacciare nuovi e proficui rapporti, consolidati poi, una volta tornato in Italia. Infatti a poco a poco il suo nome cominciò a circolare negli ambienti artistici anche fuori da Venezia e alcuni collezionisti ed appassionati iniziarono ad acquistare suoi quadri. Il dipingere del giovane Orler si discostava dal semplice ragionare per campi di appartenenza, spesso contrassegnati da inopportuni rilievi ideologici tra astrattisti e concretisti, confluendo, piuttosto, nell’ampio spettro della pittura cosiddetta “fantastica”, od “oniricoimmaginativa”, in uno scenario che ricorda quello esotico e insieme familiare di una fiaba russa dell’Ottocento da cui non va disgiunto un profondo senso religioso della natura. È invece probabile che i fautori di un linguaggio genericamente espressionista, come Longo, Paolucci, Lucatello o Boldrini, costituirono per Davide Orler un esempio volto a slegare la forma dalla sua identità naturalistica, a recedere dalla complessità strutturale del cubismo per abbracciare una visione delle cose più libera, concependo appunto una serie di opere che risentiranno del clima e di quella tensione d’inizio secolo. Le scomposte visioni notturne di Venezia, dei campielli e dei canali, rivelano i profondi e continui mutamenti che la pittura di Orler avrebbe raggiunto, in ragione di quelle frequentazioni e di quelle amicizie. In taluni casi, soprattutto nel periodo siciliano, l’artista sembra conferire alle forme un carattere espressivo per cui ogni oggetto, ogni figura, ogni casa, viene contornata da una continua linea nera. Ogni stimolo esterno, inevitabilmente propedeutico alla formazione anche soltanto visiva dell’artista viene però accolto e filtrato dalla sua personalissima visione del mondo, che sottolinea ulteriormente l’originalità nei confronti di un milieu artistico, quello nella fatti- specie di Venezia, meno propenso a discostamenti e scarti così repentini. Orler tende a recuperare una vista infantile che rifiuta il luogo ottico privilegiato, il punto di massima efficienza prospettica, ma che aspira a un impatto totale con il mondo o che le scopre in una prospettiva inventata, compromesso fra il veduto e il rivisitato mentale. Differentemente dalle suggestive e “gotiche” visioni notturne dei canali, dei campielli o delle silenti, primitive raffigurazioni dei tetti e delle case veneziane, le marine di Orler si traducono in immagini estremamente mobili, in un impeto espressionista di vivace atmosfericità tali però da non essere raffrontabili con le coeve rappresentazioni lagunari di Virgilio Guidi, che pure l’artista conosce e frequenta. Infatti racconta: “Tra le amicizie care, mi piace ricordare con nostalgia quella con Virgilio Guidi. Lo vedevo spesso dipingere a Palazzo Ducale le sue celeberrime Marine, proprio dal fondo del loggiato sul molo. Un giorno si fece avanti per cedermi il suo posto. Parlammo a lungo della città che entrambi amavamo, della pittura, della luce e bellezza che la laguna emanava e che da quel punto si riusciva a cogliere mirabilmente”. A suggellare questo incontro sono ancora oggi conservate due vedute, l’una ripresa dalla loggia del Palazzo verso l’isola di San Giorgio, l’altra dipinta dal lato della Piazza nella direzione delle due colonne. E' però a mio avviso più tardi, negli anni novanta e duemila, che Orler terrà in maggior conto l’opera guidiana, convenendo nella scelta di liberare il colore attraverso una pennellata più fluida e lieve, che per accenni – così come Guidi aveva saputo fare in certe Teste e Crocifissioni del 1974 – risolvesse i corpi e i volti in una nuova iconografia del Divino. Il tema del sacro concorre infine a spiegare ulteriormente la figura di Davide Orler: uno spirito assi- duamente propenso a elaborare attraverso la pittura una cristologia per immagini, che, partendo dai temi dell’afflizione e della pena, passando per la crocifissione e la deposizione, avrebbe infine evocato, in un clima di soffuso sentimento, la trasfigurazione e la resurrezione del Cristo. Biografia: Davide Orler nasce a Mezzano di Primiero, in Trentino, il 16 febbraio 1931. Autodidatta, si interessa di pittura fin da ragazzo insieme all’amico Riccardo Schweizer, più vecchio di lui di sei anni, che lo introduce nel «difficile mondo dell’arte moderna», come scrive l’artista stesso nella memoria-intervista redatta insieme a Martino Rizzi. Nel 1946, a soli quindici anni, lascia il paese natale per recarsi a Venezia, città dei suoi sogni: il brevissimo soggiorno di una settimana sarà sufficiente a rafforzare la sua intenzione di trasferirvisi, appena possibile, per dedicarsi alla pittura. A diciotto anni, «per evitare di essere trasferito negli alpini e per amore del mare», si arruola volontario in Marina, ove resterà per l’anno di addestramento e per tutti gli otto anni regolamentari della ferma, cioè fino al 1957, imbarcato sui dragamine e su altre imbarcazioni in servizio di pattugliamento nei mari italiani, soprattutto nello Ionio e nel Canale di Sicilia. Nascono in questi anni i primi importanti paesaggi di Mezzano, altri scorci paesaggistici influenzati dalla luce e dai colori del Mediterraneo, roventi tele che registrano personaggi e vicende quotidiane (Stromboli, Vecchia siciliana) ed anche incidenti e tragedie che colpiscono a fondo il giovane (Terremoto a Salina, Il recupero degli alluvionati a Salerno). Frutto fors’anche di questa dolente attenzione per il dolore dell’uomo, matura nell’artista un profondo travaglio spirituale che lo riavvicina alla religione e lo spinge verso l’arte sacra, filone espressivo che egli coltiverà negli anni successivi, dedicando un’attenzione particolare alla figura dell’Ecce Homo e del Cristo morto, fino a giungere alle rasserenate “visioni” vetero e neotestamentarie degli ultimi dieci anni. Nel 1957, terminato il servizio nella Marina, Orler si stabilisce a Venezia, dove già nel marzo precedente ha tenuto la sua prima personale alla Galleria San Vidal. La sua opera riscuote immediato interesse nel vivacissimo ambiente artistico della Venezia di quegli anni, caratterizzato dalle ricche Biennali, dalla presenza di collezionisti e mecenati come Peggy Guggenheim e dalla continua attività di gallerie e associazioni come l’Opera Bevilacqua La Masa. Presso la sede di quest’ultima si tiene in novembre la seconda mostra dell’artista che espone 240 ceramiche, ben presto ripudiate e gettate in mare come atto di totale rifiuto. La personale gli vale in premio l’assegnazione per quattro anni di uno studio a Palazzo Carminati, dove già lavorano molti fra i più promettenti artisti veneziani. A questo periodo che può essere definito “picassiano” (valgono a dimostrarlo fra tante opere i Collages del I956, fa appunto seguito un profondo ripensamento che nell’estate del 1958 porta il giovane artista a mutare il suo linguaggio, cercando di riallacciarsi alle sue radici culturali per dar vita a una pittura figurativa in bilico fra la descrizione minuziosa, analitica del paesaggio e dei suoi abitanti ed una dimensione di sogno in cui la realtà assume i colori della fiaba. Nell’autunno del 1958 l’artista trentino, grazie all’invito dei curatori, tiene una personale con le sue nuove opere al Musée Picasso di Antibes. È per Orler l’occasione per far conoscere il proprio lavoro in ambito internazionale e per incontrare alcuni fra i maggiori protagonisti della vita artistica e culturale del periodo, dallo stesso Picasso a Germaine Richier, da Jean Cocteau a Jacques Prévert. Si tratta di un’esperienza estremamente importante e formativa per il ventisettenne pittore che negli anni immediatamente successivi, rafforzata la fiducia in se stesso e nei propri mezzi espressivi, continua a dipingere con entusiasmo e a esporre i risultati del suo lavoro in continue mostre personali a Venezia, Novara, Vercelli, Brescia, alla Biennale d’Arte Sacra dell’Antoniano di Bologna, alla Biennale di Milano e alla Quadriennale di Roma. Lasciato l’atelier di Palazzo Carminati, nel 1962 il pittore apre con il fratello una bottega di tele e telai in Campo Santa Maria Mater Domini, bottega che diviene ben presto per gli artisti veneziani luogo di incontro e di scambio di opere, tanto che i fratelli Orler diventano anche un punto di riferimento per molti amici pittori, dei quali prendono a collezionare e a commerciare i lavori. Nel 1963 Orler si aggiudica ex aecquo con Vincenzo Eulisse il Primo Premio per la Pittura all’Opera Bevilacqua La Masa e in tale occasione la Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro gli acquista un grande dipinto dello stesso anno, Funerale a Mezzano. Mentre si ripetono anche i viaggi e i soggiorni in Italia meridionale e soprattutto nell’amata Sicilia – nel 1964 e nel 1970 Orler è ancora a Palermo, Sciacca e a Stromboli – nel 1965 inizia in lui quella passione per la pittura russa di icone che lo porterà a diventare anche un appassionato collezionista del settore. A causa di questo allargamento (che è anche un mutamento) di interessi, il pittore continua a dipingere soprattutto per sé nel suo nuovo studio di Favaro Veneto, senza più curarsi di mostre e premi, e senza più aspirare a una presenza significativa sulla ribalta artistica nazionale. La sua produzione si mantiene però costante con sperimentazioni di tecnica e linguaggi diversi: dalla ripresa del collage nel 1968-1972 – con inserti nei dipinti a olio o acrilico di particolari di pitture bizantine e altomedievali – agli assemblaggi con materiali di recupero dei primi anni Settanta (ciclo degli Inquinamenti); dalla pratica della decorazione a fresco in chiese del Transvaal in Sudafrica, nel 1972, e della Tanzania, nel 1978, alle sculture in ferro della fine degli anni Settanta. Negli anni ’90 Orler pare ritrovare una nuova giovinezza creativa con il ciclo de La Bibbia, un centinaio di dipinti dedicati al Vecchio e al Nuovo Testamento, e con la recente serie dei Miracoli. Nel 2003 espone con un’importante mostra antologica curata dalla dottoressa Marilena Pasquali a Palazzo Bonaguro di Bassano del Grappa (VI) . Nel 2005 si reca a Firenze per la mostra “Le rotte dell’animo, i sentieri dello spirito” una duplice esposizione a cura di Giampaolo Trotta al Palagio di Parte Guelfa e nella Chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio. Nel 2006 con le opere dedicate al mare espone al Complesso monumentale “Guglielmo II” di Monreale (PA) e nello stesso anno presenta nel Chiostro maiolicato del Complesso museale di Santa Chiara a Napoli “La Bibbia” 100 opere raffiguranti l’Antico e il Nuovo Testamento. Il 2006 lo vede protagonista anche a Viterbo nella Chiesa del Gesù dove espone venti raffigurazioni di Cristo e partecipa alla Biennale d’arte sacra di Pistoia. Nel 2007 dopo aver esposto a Palazzo Piccolomini di Pienza (AR) si reca a San Pietroburgo dove presentato da Maurizio Scudiero espone al Museo Statale di Storia, nella Fortezza dei SS. Pietro e Paolo. Premio alla carriera nella Biennale Internazionale di Firenze nel 2007. Partecipe nel 2010 alla Biennale di Malindi in Kenia, conclude con una triplice mostra antologica intitolata “Al Tramonto, quando il cielo s’infuoca”, proprio nella sua amata Valle di Primiero (TN), al centro civico del paese natale di Mezzano, nel Palazzo delle Miniere di Fiera di Primiero e nella Galleria Orler di San Martino di Castrozza. Davide Orler muore il 7 dicembre del 2010. |
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