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Gastronomia (Foto Agenzia per il Turismo Costa degli Etruschi) Enogastronomia: curiosità e prodotti
Itinerari del gusto nella Costa degli Etruschi: occasioni per conoscere piatti originali, prodotti tipici, vini di qualità eccelsa. La cucina ha caratteristiche inimitabili che derivano dalla particolare fisionomia di questa terra, tra mare e colline
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Rassegne, sagre e manifestazioni gastronomiche

Gastronomia della costa degli Etruschi

Gli itinerari del gusto ci portano anche a scoprire le iniziative eno-gastronomiche della Costa degli Etruschi. Nel corso di queste ma-nifestazioni, che si svolgono in luoghi suggestivi e caratteristici, vengono proposti i piatti tipici della tradizione e le ricette più gustose.
Castagneto a tavola presenta anche la eccelsa produzione enologica della zona, cene nei ristoranti, laboratori del gusto, visite guidate alle cantine. Nel Maggio Campigliese il borgo antico celebra la primavera proponendo insieme a tante iniziative folkloristiche la cucina gustosa di questi luoghi.
E’ il pesce, invece, a dominare la scena nella Sagra di Caletta-Castglioncello, dove si svolge, nel mese di giugno, una caratteristica manifestazione di cucina marinara : una gigantesca padella è in grado di friggere quintali di buon pesce. A Livorno Effetto Venezia ha la magia della festa. Per dieci giorni, ad agosto, il quartiere storico della città si illumina di luci e colori e propone ristoranti. osterie, enoteche, ospitati presso palazzi storici, cantine sui canali, cortili.
Festa d’autunno è la sagra che si svolge a Sassetta nel mese di ottobre e che dedica un particolare interesse alla gastronomia tipica. La “polentata”, le sagre della zuppa e della castagna sono appuntamenti da non perdere. Nella prima metà di dicembre Suve-reto, antico paese medievale, ospita da 30 anni una sagra dove la cucina, gli spettacoli, le mostre, si mesco-lano in un programma ricco e multiforme.
Nel centro del paese troneggia una grande griglia che cuoce carni sapide.
Protagonista indiscusso il cinghiale, che viene proposto nelle ricette più tradizionali.

Le strade del vino DOC, i borghi medioevali ed altre meraviglie

C’era una volta il feudo dei Della Gherardesca. Immensa proprietà di questa famiglia dalla storia altrettanto immensa.   
Chilometri e chilometri di costa quasi deserta, di padule fitto di selvaggina, di macchia e di campagna, dove le grandi fattorie sembravano cristallizzare un mondo destinato a non cambiare mai.
Battute di caccia interminabili con relativi trofei, qualche vecchio, carissimo bracconiere che fingeva di increspare la sostanziale tranquillità dei luoghi.Vigneto
A tavola, pochi sbagli: cucina povera, trionfi di cinghiale in tutte le salse e altre specialità solo di recente riscoperte dai gourmet in cerca di rarità.
Nel 1970 entra in commercio il Sassicaia, uno dei miti dell’enologia mondiale, celebratissimo re dei vini nostrani. Il vero deus ex machina, l’origine del boom del vino del territorio livornese. Un’esplosione forse senza precedenti: in soli vent’anni quell’area marginale che era tutta la lunga fascia collinare compresa tra Livorno e Piombino è divenuta l’eldorado del vino italiano, portandosi al traino tutta la teoria degli altri prodotti della terra: il miele, i salumi e naturalmente l’olio extravergine, ulteriore gemma di questo territorio che già sta facendosi spazio sui mercati mondiali, ma che fortunatamente si trova ancora (e si compra pure) in fattoria, direttamente dal produttore.
È in questa zona, rimasta naturalisticamente e paesaggisticamente intatta, che anni orsono, precorrendo una tendenza divenuta oggi nazionale, è nata la Strada del Vino della Costa degli Etruschi.
Come dire un dedalo di itinerari tra borghi, pievi, antichi poderi, macchie e cantine che si snoda attraverso gli angoli più nascosti della campagna livornese, alla scoperta dei sapori migliori, delle situazioni più suggestive, dei prodotti più gustosi.
E dell’enogastronomia più autentica, naturalmente, quella delle trattorie e delle ricette riscoperte. Per non parlare dei vini. Sono addirittura tre le Denominazioni di Origine Controllata che insistono su questo fazzoletto di terra, a testimonianza di una realtà produttiva divenuta davvero importante dal punto di vista qualitativo: il Montescudaio, il Bolgheri e il Val di Cornia, con tante diverse tipologie (bianco, rosato, rosso, vinsanto) che esprimono sia la versatilità che la vocazione di un territorio, è il caso di dirlo, davvero riscoperto in chiave vinicola.
Diventa questo, allora, l’inevitabile filo conduttore di un viaggio che conduce, in un’alternanza sempre nuova, attraverso luoghi noti e frazioni sconosciute.
Ad esempio quei borghi arroccati da secoli sulle alture, per mettersi in salvo dalle insidie del mare e, più realisticamente, da quelle degli assalitori, saraceni o bizantini che fossero. Come Rosignano Marittimo o Bolgheri, proprio quella dei carducciani cipressi “alti e schietti”, che pare debba il suo nome alla guarnigione di soldati bulgari messi lì a guardia della piazzaforte intorno all’VIII secolo.
O come Castagneto, ricercata da personaggi illustri ma anche da tanta gente comune che vuole godersi il paesaggio, la tranquillità e la buona tavola.
Gli amanti della natura, delle passeggiate, dei funghi e dell’erba di campo incontrano invece i sentieri incantati dell’incredibile macchia della Magona, che da Bibbona s’inerpica sulle colline per migliaia di ettari, ove si trovano anche splendide aziende agrituristiche. È qui che trionfano, al pari che nei ristorantini, tante specialità del passato come le pappardelle al cinghiale o la zuppa con lo scalogno. O come la rarissima testina di cinghiale.
La bellezza dei luoghi concilia l’appetito, del resto. Le rovine della Torre di Donoratico, ad esempio, rifugio del conte Ugolino dopo il disastro della Meloria.
Oppure Sassetta, coi suoi scorci da alta collina, la macchia che tende al bosco, le strade che a ogni virata nascondono una sorpresa. Qui si possono incontrare gli ultimi carbonai e le bizzarre sacche dialettali di chi esercita questo mestiere in via di estinzione.
E a tavola? Tortelli di spinaci e ricotta conditi con un sugo a base di immancabile cinghiale, varie specialità alla brace inclusa la selvaggina, umidi con le olive, pappardelle alla lepre. Anche se in fondo siamo a pochi chilometri dal mare. Si arriva così a Suvereto, in un intercalare di paesaggi da sogno e magari dopo una sosta nelle fattorie che vendono i prodotti biologici della loro terra. Suvereto è un delizioso comune ricco di testimonianze architettoniche medievali, come la chiesa di San Giusto e il Palazzo Comunale duecentesco. A Campiglia invece, dopo un giro del bel borgo medievale, sosta d’obbligo al suggestivo parco archeo-minerario, alla scoperta della Rocca di San Silvestro (vestigia di un antichissimo borgo) e poi, per ritemprare il fisico, alle terme di Venturina: qui l’acqua, raccolta in un laghetto attrezzato alla bisogna, sgorga naturale a 36°C.

Il mistero del Caciucco

Gli storici della cucina dicono che il cacciucco non sia soltanto il frutto di un miscuglio di ingredienti diversi, ma anche di molte ricette diverse.
La sintesi dei tanti modi importati da tutto il mondo, come fatalmente accade nei porti di mare, di preparare un piatto che, in fondo, è universale: la zuppa di pesce.
Una tesi cui vengono effettivamente in soccorso argomenti importanti.
Il primo è fornito dal Devoto-Oli, che fa risalire l’origine della parola cacciucco al turco kuzuk, che significa piccolo e quindi, traslatamente, minutaglia: donde il significato di cacciucco come minestra di minutaglie (di pesce, sottinteso).  Gli fa sponda l’opinione di un altro che, quanto a cucina livornese, se ne intende: Aldo Santini. Il quale sostiene che il piatto trova le sue radici a bordo delle galere cinquecentesche, ove si praparava per sfamare i vogatori alla catena; e rievoca addirittura, in questa palingenesi, tradizioni marinare più antiche, compresa quella fenicia.
Comunque stiano le cose, una è però certa. Rispetto agli usi antichi, negli ultimi lustri anche il modo di preparare il cacciucco è cambiato: gli ingredienti sono meno vari di una volta e più improntati alla qualità. Meno pesci ma più buoni. Meno lische, insomma. E in fondo è meglio così.   

Sassicaia, ma non solo: i vini della Costa degli Etruschi

L’abbiamo già detto: all’inizio fu il Sassicaia.  Nel senso che sarebbe stato assai improbabile, senza l’intuizione di Mario Incisa della Rocchetta e di un grande enologo come Giacomo Tachis, che la vocazioni vinicola del territorio livornese fosse messa in evidenza e portata al successo. Del resto, si sa come vanno le cose: Sassicaia vuol dire Bolgheri, Bolgheri vuol dire Castagneto Carducci, Castagneto Carducci vuol dire le colline a cavallo tra le provincie di Livorno e Pisa. Botti di Vino
Il raggiungimento della doc, anzi delle tre Denominazioni di Origine (Montescudaio, Bolgheri, Val di Cornia) è stato il coronamento di una irresistibile ascesa.
Che però non si ferma: la febbre creativa di nuovi vini sembra anzi appena esplosa. Territorio piccolo, allora, ma vini grandi.
E grandi differenze anche tra prodotti che, a un assaggio più distratto, potrebbero talvolta apparire simili. Perché una delle straordinarie risorse della produzione livornese non è solo la differenziazione tipologica e formale dei prodotti, ma anche quella dei produttori: enormi fattorie e coltivatori diretti, tradizionalisti e modernisti, francesisti e italianisti.
Al di là dei gusti, ciò offre un tale ventaglio di scelte da accontentare, e incuriosire, qualsiasi palato.  La doc Montescudaio, ad esempio, è la più settentrionale delle tre e si estende anche ai comuni della provincia pisana (come Montescudaio, appunto).
Trionfano qui i vitigni tradizionali: trebbiano, vermentino e malvasia per i bianchi, naturalmente sangiovese per i rossi.  La musica cambia radicalmente, e non potrebbe essere altrimenti, con la doc di Bolgheri, ove accanto a quelle nostrali trionfano le varietà di uve importate: ecco quindi un ampio ricorso a sauvignon, cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot.  Qui è prevista la “sottozona” Sassicaia.
Vitigni e tipologie ancora diverse per la doc più meridionale, quella della Val di Cornia: accanto ai soliti trebbiano, vermentino, malvasia e sangiovese e ai prevedibili cabernet, troviamo infatti il pinot bianco, il pinot grigio ed essenze ancora più inusuali come il clairette, il canaiolo, il ciliegiolo (uno dei nerbi dell’enologia “antica” di questi luoghi), per giungere ad autentiche curiosità come l’ansonica e il biancone di Portoferraio. Inoltre questa è l’unica delle tre doc a prevedere per il rosso anche la tipologia “riserva”, con un invecchiamento minimo di tre anni.

La costa: profumi, colori e la cucina marinara

Dagli scogli di Calafuria e di Quercianella alle placide spiagge di Vada, dalla sabbia di Marina di Castagneto ai fasti di Castiglioncello, transitando dalle boutique di Cecina alle meraviglie archeologiche di Populonia e a quelle subacquee di Baratti, in un intercalare di pinete e di un turismo ancora a misura d’uomo.
Il litorale livornese si distingue per la sua discontinuità. Intesa in senso positivo, intendiamoci. A tavola e non solo.  
Andare da un capo all’altro della costa oggi è facile, grazie all’autostrada e alla nuova Aurelia che, senza irreparabili scempi ambientali, hanno decongestionato la costa, liberandola dall’assedio delle auto. I paesi e le cittadine hanno recuperato così la loro dimensione originaria e la buona cucina, va da sè, ne ha guadagnato. Siamo in riva al mare: il pesce imperversa, è ovvio, e un aiuto gli viene dai bianchi dell’entroterra, che forti premono ad accompagnare orate e dentici, gamberi e seppie.
Connubio, quello di un’ottima materia prima con un vino di prima qualità, che è risultato decisivo nel punteggiare il territorio di ristoranti e trattorie specializzati nella cucina marinara.  Quella di sempre: come il riso alla scogliera (con polpi, arselle, seppie e gamberi), la zuppa di arselle, le acciughe fritte, il polpo alla marinara, i gamberoni in guazzetto e le immancabili grigliate di pesce nobile.
Anche se perfino qui giunge l’eco dei sapori dell’entroterra, grazie alle numerose enoteche che, piano piano, hanno preso a portare a tiro di ombrellone i grandi rossi di questa zona e il loro degno accompagnamento di formaggi, salumi, olio exravergine. Pesci
In modo che anche il più balneare dei soggiorni possa trasformarsi in un’esperienza enogastronomica completa. Aiuta, in zona, anche la presenza di famosi e plurisegnalati locali, che restano punti di riferimento fondamentali per i gourmet.  Ma ciò non significa che la buona cucina sia solo un loro appannaggio. Anzi: fuori dalla celebrità, sono moltissimi i ristoranti della costa in grado di sfornare piatti memorabili e il bello di una vacanza sta anche nell’andarseli a scoprire un po’ per volta, seguendo le tracce dei si dice e i suggerimenti degli amici o di gente del posto. Le scuse non mancano: a partire da Quercianella e Castiglioncello, tradizionali e sempre più ambite mete turistiche, a Cecina dove un’attrazione è la bellissima pineta, cuscinetto verde tra la cittadina e Marina di Cecina, mentre a Marina di Bibbona è il caratteristico forte mediceo a dominare la scena.  A Donoratico, invece, tocca alle piantagioni di girasole, oltre a un’altra stupenda pineta, a separare dalla spiaggia il centro urbano, sorto sulle paludi bonificate nell’800.  Superato San Vincenzo, con il suo apprezzato porticciolo e le sue note spiagge, si incontra il Parco di Rimigliano e si punta poi con decisione verso l’incantevole golfo di Baratti, sul quale domina Populonia.
Una deviazione per visitare la città etrusca e le sue necropoli, la Rocca trecentesca e ciò che resta del paese medievale, è indispensabile almeno quanto fermarsi per un pranzo a base di pesce fresco in qualche locale sul mare. Qui, la tomba etrusca dei Carri è un’attrazione coi suoi quasi trenta metri di diametro, anche se lo sguardo è facilmente rapito dalle bellissime acque del golfo, una delle spiagge più coreografiche del Tirreno, che proprio lì, sotto le sue onde, custodisce decine di relitti etruschi e romani.
Per raggiungere Piombino bisogna attraversare l’intero promontorio del Massoncello, braccio di terra proteso dentro al Tirreno.
Cittadina antica e vivace, munita di mura dai Medici, fino al 1815 capitale di un suo principato e, dopo, amata da Elisa Bonaparte; una vivacità che si rileva anche a tavola, poichè proprio la mancanza di un turismo costante e omogeneizzante ha consentito di mantenere la sana rusticità originaria. Prevalgono infatti le osterie in cui, come sarà ormai chiaro, terra e mare si incontrano, si scontrano e talvolta si ignorano.  Una specialità su tutte: il famoso polpo alla piombinese, marchio di fabbrica che segna in modo indelebile la visita.



L'olio extravergine d'oliva e la California della Toscana

All’occhio del turista, che come il Carducci un secolo fa viaggiava in treno, o, più modernamente, percorrendo in auto l’Aurelia nel tratto Cecina San Vincenzo, il paesaggio agrario di questo territorio stretto fra i boschi delle colline e la pineta litoranea appare dominato dal verde argentato degli olivi.
Confortato dal mite clima mediterraneo, l’olivo si veste di una bella chioma lussureggiante, densa e frondosa, ben diversa da quelle scarne e rattrappite dei cugini che si arrangiano a vegetare sulle colline della Toscana interna. Merito anche di questa terra rossastra, leggera e fertile, che li nutre. 
Ma, al di là di questi aspetti esteriori legati all’ambiente, esiste una specificità dell’ovicoltura bolgherese? Se si guarda alle varietà che ne costituiscono la popolazione, si direbbe di no. Anche qui, come in gran parte della regione, quasi tutti gli impianti sono stati fatti secondo il tradizionale mix toscano, basato principalmente sulle tipologie frantoio, insieme a maraiolo, leccino, maremmano, maurino, pendolino e altri, in porzioni variabili secondo l’inclinazione di ciascun olivicoltore o, più probabilmente, secondo la disponibilità di piantoni al momento della messa a dimora.
Anche sotto il profilo strutturale ricorrono condizioni non dissimili da quelle riscontrabili in altre zone: oliveti tradizionali, di antico insediamento, accanto a impianti recenti, costituiti secondo le più moderne conoscenze tecniche. Con una differenza: mentre nella gran parte del territorio regionale la ristrutturazione dell’ovilicoltura è avvenuta a seguito della memorabile gelata dell’inverno ’85, l’area di Castagneto Carducci fin dagli anni ’60 è stata interessata da una vivace spinta al rinnovamento.  Anche in questo aspetto, oltre che in quello vitivinicolo, si conferma il dinamismo dell’agricoltura di questo comprensorio, non a torto ritenuto la California di Toscana.
Le condizioni per ottenere una buona produzione di olive sono dunque assicurate.  Da qui ad ottenere un buon olio extravergine la strada è breve, a patto che si adottino accorgimenti adeguati dalla raccolta alla trasformazione.  Gli olivicoltori della zona stanno dimostrando di aver capito l’importanza di queste fasi ai fini della qualità del prodotto: da qualche anno lavorano con maggior cura e attenzione.  Il risultato è la continua crescita qualitativa degli oli di Bolgheri e del castagnetano, ormai avviati, di campagna in campagna, a uno standard organolettico di eccellenza che apre la prospettiva di individuare una tipicità del terroir. I buoni oli extravergine di Castagneto sono caratterizzati da profumo fruttato, fresco e intenso, da un corpo pieno e dolce, ben sostenuto da vivaci, ma non aggressive, note di piccante e da un lieve retrogusto amarognolo.
L’olio della Costa degli Etruschi, grazie alle sue caratteristiche organolettiche, è il giusto condimento per la cucina del territorio e soprattutto per quella di mare.

 

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