Arte, Storia e Religione
Le cattedrali di Benevento, Sant'Agata de' Goti e Cerreto Sannita
L’itinerario di interesse turistico tocca luoghi di forte richiamo, come Benevento con la sua storia, la suggestiva Sant’Agata dei Goti e, Cerreto Sannita.
L’itinerario proposto si incentra soprattutto nella visita delle cattedrali, antichi gioielli storici di tutte e tre le città.
In questo percorso di fede e di storia, Benevento conserva un sincronismo religioso di grande rilievo, per cui al culto di Iside subentra quello di Maria “lactans”.
Il cuore pulsante della fede beneventana è la Cattedrale di Benevento, primo tempio cristiano eretto in città, distrutta durante la II guerra mondiale; la ricostruzione della cattedrale è avvenuta negli anni cinquanta e sessanta anche se con numerose interruzioni dovute al ritrovamento, durante i lavori, di diversi reperti archeologici, quasi tutti risalenti al tardo periodo romano della città, in particolar modo legati al culto pagano-egiziano installatosi per poco tempo all'epoca. Di stile romanico-pugliese, conserva oggi tutto il suo antico fascino nella facciata e nelle porte di bronzo medioevali, di ottima fattura, ammirabili all'interno della cattedrale. Di grande fascino è la cripta, che conserva affreschi di memoria longobarda.
La cattedrale di Sant’Agata dei Goti, intitolato all'Assunta, costituisce un unicum nel panorama artistico-religioso del Sannio beneventano.
Venne fondato nel 970, ricostruito nel XII secolo e più volte restaurato specie dopo il terremoto del 5 giugno 1688. Di grande suggestione è la cripta medioevale con i suoi affreschi di stile giottesco. Delicato nella sua fattura artigianale è il coro ligneo.
Il ‘700 costituisce per la ridente cittadina di Cerreto Sannita una rinascita culturale ed artistica insieme. In questo contesto si inserisce la Cattedrale della Santissima Trinità edificata fra il 1690 ed il 1736 e decorata da ricchi stucchi settecenteschi del Caldarisi e del Silva. Costituita da tre navate conserva sui numerosi altari pregevoli dipinti barocchi di autori locali e napoletani; pregevoli anche le sue due torri campanarie policrome “a cipolla”.
I Sanniti, i Romani e le "Forche Caudine"
Nel linguaggio comune, quando si vuole evidenziare che si è avuta una vittoria eclatante con estrema umiliazione dei vinti, si usa l'espressione “è passato sotto le forche caudine”. Frase che risale alla mitica sconfitta dell’esercito romano ad opera dei soldati Sanniti e che caratterizzò la seconda guerra Sannitica.
Tito Livio nel libro X degli Annali, nel descrivere l’evento storico, pose in risalto come i Sanniti ebbero una vittoria non solo splendida ma anche eterna, forse prefigurando come tale episodio storico sarebbe rimasto inalterato nei secoli e nella memoria degli uomini. La famosa tempra dei soldati romani era stata umiliata, la forza delle “legioni romane” era stata schernita dal passaggio sotto il “giogo” eretto a disprezzo degli sconfitti. I Sanniti avevano conquistato non Roma, ma l’eroismo e la fierezza dell’esercito dei romani.
Narra Livio, che nel 321 a.C. le forze romane, erano accampate presso “Calatia” nella pianura vicino Maddaloni, mentre i Sanniti, al comando di Caio Ponzio, si trovavano nei pressi di “Caudio” vicino all’attuale Montesarchio. Fu diffusa la falsa notizia che i soldati sanniti erano lontani, occupati ad assediare la città di Lucera.
I consoli romani, per portare aiuto ai buoni e fedeli alleati lucerini, scelsero di raggiungere Lucera passando attraverso le gole di Caudio; tale strada attraversava una pianura ampia, erbosa e ricca d’acqua ma con due valichi, uno superiore e l’altro inferiore. L’esercito romano, giunto al valico superiore, lo trovò sbarrato con alberi e macigni e, avvistati i soldati sanniti, capì di essere caduto in un’imboscata. Repentinamente indietreggiò cercando di guadagnare la libertà dall’altro valico, ma trovò anche questo sbarrato con macigni ed alberi messi nel frattempo dai soldati sanniti.
Chiusi in una morsa, i nemici sanniti si facevano giuoco di loro, apostrofandoli con ironiche e sprezzanti frasi di scherno.
Disarmati e spogliati delle vesti, i soldati romani subirono l’onta e la vergogna di passare sotto il “giogo”, passare cioè attraverso delle travi incrociate, tra gli scherni dei sanniti vincitori.
I Longobardi e il culto di San Michele Arcangelo
Di costumi estremamente rozzi, in un continuo stato di guerra, costretti ad una vita seminomade, i Longobardi, nel 568, provenienti dalle zone dell'odierna Ungheria, giunsero in Italia attraverso il Friuli e vi si stanziarono, eleggendo Pavia capitale del Regno.
Conquistata tutta l'Italia, si insediarono nel 571 a Benevento. Il ducato di Benevento ebbe nel corso dei secoli, rispetto al principato di Pavia, una propria autonomia, una propria entità indipendente. La sconfitta del re Desiderio ad opera di Carlo Magno nel 774 determinò la fine del Regno longobardo di Pavia, con la sola eccezione del ducato di Benevento, il cui duca Arechi II elevò a principato, ed ebbe una durata fino al 1077, anno in cui cadde sotto il dominio pontificio.
Ebbe inizio così per Benevento un periodo storico di notevole importanza: si ampliarono le mura della città, si curò l'urbanistica, si realizzarono lo sviluppo e l'ampliamento della "civitas", si diede impulso alla attività culturale e religiosa, ricostruendo abbazie, chiese, monumenti, con gli annessi "scriptorum", centri propulsori di cultura.
Benevento dopo la conversione dei Longobardi al cristianesimo nel 663 divenne notevole centro di produzione e di esperienze culturali; vanno ricordate la famosa "scrittura beneventana" ed il "canto beneventano"; inoltre la nota "sacra via langobardorum", strada dei pellegrini, che da Benevento, lungo il percorso della via Traiana, passando per l'attuale Buonalbergo, raggiungeva il monte Gargano, luogo di fede in onore di San Michele Arcangelo, patrono dei Longobardi.
La storiografia longobarda ha dato l'inizio del culto micaelico all'episodio bellico dell'8 maggio 650, allorchè secondo la tradizione i Longobardi di Benevento respinsero un attacco dei Bizantini i quali volevano impadronirsi del santuario dedicato all'Arcangelo sul monte Gargano. Successivamente a questo episodio, ebbe notevole diffusione il culto micaelico in tutto il Medioevo.
L'arcangelo San Michele, il più potente difensore del popolo di Dio, fu definito "principe degli Angeli" per la sua lealtà, fedeltà e devozione nei confronti del Signore.
L'arcangelo viene rappresentato, nell'iconografia orientale ed occidentale, come un combattente con la spada in mano, che nella prima immensa guerra apocalittica, affronta e sconfigge Lucifero ribellatosi a Dio, facendolo sprofondare nelle tenebre. Contribuirono, certamente, ad accrescere il culto di San Michele nell'area sannita le vicende della transumanza ed i pellegrinaggi verso il Gargano.
I soldati "Piemontesi" ed i "briganti"
Lo storico Pasquale Villari afferma che “il brigantaggio non nasce da una brutale tendenza al delitto, ma da una vera e propria disperazione. Diventa la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie”. E’ indubbio che i sogni di libertà, di conquista delle terre da parte dei contadini svaniscono immediatamente con i primi provvedimenti del nuovo governo. Si assiste storicamente a moti di reazione popolare che investono tutte le province del Sud d’Italia.
Nella neonata provincia di Benevento, tutti i paesi sono in tumulto, in fibrillazione contro i provvedimenti dell’autorità costituita. Dopo la capitolazione di Gaeta, la situazione peggiora ed ecco entrare in azione i Comitati Borbonici che montano la reazione contadina, al fine di dare alla stessa una connotazione di legittimità con la speranza di un ritorno al trono di Francesco II Borbone.
Sull’onda di queste proteste, si costituiscono e si organizzano bande armate pronte a scontri violenti con reparti militari e squadre della Guardia Nazionale, in luoghi aspri, pieni di insidie, dove il terreno conosciuto dai locali ben si presta ad azioni di guerriglia.
Una di queste bande, formatesi con elementi di Casalduni, Campolattaro, Morcone e con soldati sbandati del disciolto esercito borbonico, il 7 Agosto 1861, si diresse a Pontelandolfo dove, devastato il corpo di guardia e bruciato il tricolore, issò la bandiera borbonica, proclamando l’instaurazione del governo provvisorio borbonico. La trionfale protesta popolare si estese a macchia d’olio ai paesi circostanti, destando la preoccupazione del vicino governatore di Campobasso, che inviò immediatamente un gruppo soldati ad arginare le bande che operavano nel territorio.
I soldati, dirigendosi verso Casalduni, stanchi per la forzata marcia, furono accerchiati dal sergente borbonico Angelo Pica e dai suoi uomini, e furono condotti a Casalduni, dove furono fucilati.
Immediata fu la reazione del Generale Enrico Cialdini alla notizia giunta a Napoli, dell’uccisione del tenente Bracci e dei suoi uomini. Si decise così che “il doloroso ed infame fatto di Pontelandolfo e Casalduni “ dovesse essere castigato, in modo che “di quei due paesi non rimanga più pietra su pietra”.
Il 14 Agosto 1861, cinquecento bersaglieri si diressero verso Pontelandolfo, mentre un’altra colonna di quattrocento uomini si diresse verso Casalduni per compiere un’azione repressiva - punitiva.
Fu tale la brutalità dell’azione militare che l’on. Giuseppe Ferrari, deputato milanese, ne fece oggetto di apposita discussione nella seduta parlamentare del 2 dicembre 1861.
A Pontelandolfo e Casalduni i morti furono sicuramente più di mille, anche se le cifre reali non furono mai rese note dal governo.
Si ringrazia l'E.P.T. - Benevento per la concessione delle immagini e dei testi qui pubblicati |