Ad Alicudi non si manifestano fenomeni vulcanici endogeni né si riscontrano tracce di attività recente.
Alicudi ha forma di tronco di cono e culmina col Filo dell'Arpa o Timpone della Montagnola (662 metri). Il pendio occidentale dell'isola è ripido e disabitato; quello orientale è costituito da ripiani e disseminato di case tra le quali si leva, in pittoresca posizione, la chiesa di San Bartolomeo. Caratteristici il Serro della Farcona, cinto da alti precipizi e il Timpone delle Femmine, ubicato anche in località impervia: qui si rifugiavano le donne durante le scorrerie saracene.
Circumnavigando l'isola, si ammirano pendici terrazzate coperte da cespugli e da fichi d'India, alte coste con stratificazioni di rocce nere e di conglomerato rossastro; forre, valloni e un susseguirsi di alti precipizi.
Un abitato delle fasi iniziali della cultura di Capo Graziano (XXIX – XXVII secolo a.C.) doveva estendersi vicino al porto, in contrada Pantalucci fino al torrione della contrada Fucile. Frammenti ceramici di età romana si trovano sparsi sulla costa orientale dell'isola.
Escursioni
Parlare di escursioni, nel caso della isoletta di Alicudi, appare se non paradossale quanto meno limitativo. Non esiste, qui, altra possibilità di spostarsi (eccezion fatta, ovviamente, per le imbarcazioni), per cui l'escursione non rappresenta necessariamente un momento di svago, di osservazione, di sport, ma una necessità. Muoversi a piedi, per il turista, significa dunque, spesso, unire l'utile al dilettevole. Alicudi e i suoi silenzi; Alicudi e la sua natura, burbera ed intatta; Alicudi e la mano dell'uomo, non così lunga da potere arrivare fin qui a stravolgere scenari ed abitudini. Alicudi ed i suoi sentieri, non tutti agevoli e però solcati dal vento, tracciati dalla quiete, incorniciati dal mare. Percorrerli è prima ancora di un rito, una necessità: qui l'asfalto non è arrivato, l'unico suono di motori che si conosce è quello delle imbarcazioni che approdano, ripartono, oppure passano in lontananza. Prima ancora che di sentieri è il caso di parlare di scalinate, composte dalla fatica dell'uomo che ha levigato la pietra lavica per poi disporla a scalini, offrendo un'inconsueta geometria della natura in un contesto arruffato e dal fascino profondamente selvaggio.
Si arriva in porto, e subito si affacciano le scale: una necessità, prima ancora che un piacere, il piacere dell'escursione. Oltre le case che circondano il piccolo approdo, ecco aggrapparsi al territorio scosceso un universo di coltivazioni a terrazza. Più in alto è il villaggio abbandonato. Perchè fu costruito quassù? Per limitare i danni in caso (reale e frequente) di invasione saracena. Più in alto, la Fossa Gerbia, il piano dell'Arpa. Quindi l'antico cratere, la vetta, e finalmente l'occhio può rilassarsi e scrutare il panorama che si estende fino all'orizzonte.
Non tutte le scale conducono qui. Si può ad esempio salire a Pianicello, altro minuscolo borgo, questa volta abitato da turisti, per proseguire fino alla contrada Tonna, le cui costruzioni rivelano il fascino originario e intatto delle pareti in nuda pietra. Solo dalla barca è invece possibile avvistare i “fili”: sottili colate di lava ormai rappresa che disegnano lunghe strisce sulle pareti del vulcano; oppure ancora le “sciare”, cioè le pietraie di materia lavica raffreddata. L'imbarazzo della scelta, per quanto riguarda il soggiorno, non è di casa, qui.
L'albergo è quello, il ristorante pure.
L'alternativa migliore è affittare un'abitazione (o una stanza) e rifornirsi nei negozietti di alimentari giù al porto.
Ringraziamo SAGEP Libri & Comunicazione S.r.l. di Genova per aver gentilmente concesso la pubblicazione dei testi dell'opuscolo "ISOLE EOLIE" e l'AAST Eolie per la pubblicazione di testi ed immagini
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